“L’invenzione della madre” di Marco Peano

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madredi Alessandro Garigliano

Non so se durante la lettura de L’invenzione della madre di Marco Peano (minimum fax 2015) mi abbia commosso più la storia o lo stile. Non starò qui a rimuginare se ciò che si racconta sia biografia o invenzione, e in che percentuali. Si narra in terza persona con una voce vicina, quasi complice, al protagonista ventiseienne che ha nome Mattia (l’unico in tutta la storia a essere nominato, mentre gli altri sembra godano di una sorta di sacralità grazie alla quale i loro nomi resteranno impronunciati). Dirò subito che ciò che più mi ha coinvolto e stravolto non è né l’esattezza delle parole né l’essenzialità dei periodi necessari a narrare il decorso terminale di una donna malata di diverse forme di cancro; ciò che mi ha coinvolto e stravolto è la capacità di sottrarre pathos senza sottrarsi, senza disinnescare il dolore spaventoso scaricando la tensione con l’ironia o usando artifici inadeguati.

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Italia-Uruguay: Il Calciatore dalla Triste Figura

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di Alessandro Garigliano

Ieri mi sentivo in una condizione eccellente per vedere Italia-Uruguay. Non mi sono mai perso, in realtà, un solo Mondiale di calcio. Smetto di leggere e di fare ricerche, sprofondo sul divano cercando di vedere quante più partite possibili. Non amo il calcio ma non lo odio, mi piacciono le passioni dispiegate ai massimi livelli. Non ho nessuna specializzazione e forse non godo nemmeno di qualità: vedere coreografie di ossessioni mi struttura. Mi appendo a qualità olimpiche parassitando vite monomaniache: l’idea fissa, penso sempre, avrebbe potuto salvarmi. Continua a leggere

“Cacciatori di frodo” di A. Cinquegrani

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Finalista al Premio Calvino, Cacciatori di frodo (Miraggi edizioni) è un romanzo infernale. Sin dall’inizio si sprofonda nel furore della storia. Chi narra, confessando i dolori abnormi che gli hanno stravolto la vita, marcia ogni giorno per dodici chilometri su un binario morto, alla ricerca di un’esistenza perduta. Insegue tutti i giorni la moglie che a ogni alba si alza e percorre quei dodici chilometri lungo il binario morto, fino a sdraiarsi ed esporre il proprio corpo, perché un treno le faccia rotolare la testa giù dall’argine e in fondo al Piave. È la catabasi di un uomo che attraversa, dannandosi, i sensi di colpa. Continua a leggere

“I segnalati” di G. Tedoldi

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di Alessandro Gariglianoimgres

Fulvia lava il terrazzo indossando All Star rosse. Fulvia è l’amata del romanzo “I segnalati” di Giordano Tedoldi (Fazi Editore): lei e chi narra la storia incarnano la congiunzione dei destini che si oppone all’avversione del mondo.

Un giorno Fulvia ha un battibecco con alcuni bambini. Questi la insultano e la provocano sotto casa, fino a quando non lancia una sfida. Li avrebbe bagnati tutti tramite il secchio con cui sta pulendo il terrazzo. Ma quando prende la rincorsa e scaglia in alto il secchio, uno dei bambini, nella fuga, spintona un compagno fino a farlo cadere contro un gradino di pietra di un portone dove sbatte la testa. La morte del bimbo è una faglia che destabilizza i destini. Diventa un richiamo irresistibile all’abisso: un desiderio di mortificazione infinita che seduce e pietrifica, che incanta fino alla cecità: è una passione per l’eterno, l’oblio.

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Perciò veniamo bene nelle fotografie

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di Alessandro GariglianoCopertina_-_Francesco_Targhetta_-_percio_veniamo_bene_nelle_fotografie

«D’un pianto solo mio non piango più» scriveva in una bellissima poesia Giuseppe Ungaretti a un certo punto della sua carriera. Non si capisce però bene cosa si intenda – qui e in genere – con solo mio. Se è vero, infatti, che piangersi addosso, ripiegarsi lamentosamente verso se stessi, alla lunga può suscitare noia o comunque monotonia – perfino sterilità –, è altrettanto vero che concentrarsi sulla propria, non dico identità, ma sulla singola complessa e complicata autobiografia, nell’arte, può essere la via maestra per solcare strade mai attraversate: per avventurarsi in percorsi inesplorati e, in modi autentici, cognitivi. La famigerata scrittura di sé può mostrarsi quale specchio di un periodo storico, di una generazione, specchio deformante, certo, ma proprio per questo rivelatore di verità.

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La responsabilità dei partiti e il sacrificio dei cittadini

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di Alessandro Garigliano

Ho sentito spesso confondere la responsabilità con il sacrificio. La responsabilità che ognuno ha nei confronti  di se stesso consiste nella capacità di attuare il proprio desiderio, la più intima volontà personale. Significa riuscire a mettere in pratica parte di ciò che si è nel profondo, riportare alla luce pezzi di verità indistrutte.

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Filippo II e don Chisciotte

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di Alessandro Garigliano

Due figure tanto diverse, asimmetriche, non si potrebbero immaginare. Una lunga e sbilenca; l’altra bassa, flemmatica, elegante. Non sto parlando di una coppia comica, ma di Filippo II e Alonso Quijano (o Quijada: anche il nome è errante). Vissuti entrambi nel corso del crepuscolo del Siglo de Oro: il primo di nobili natali, erede di un regno enorme, con grandi occhi azzurri che facevano impressione e il secondo invece con in sorte un blasone mediocre: era un hidalgo di provincia.

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“Fine Impero” di Giuseppe Genna

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di Alessandro Garigliano

Perché muoiono i bambini?

L’ouverture del romanzo “Fine Impero” di Giuseppe Genna è un corteo funebre. Non si ha però la descrizione di un dramma, ma di una tragedia: il morto è una bambina di dieci mesi. Al cimitero il tempo si condensa raggelato. Il dolore si alza con tutta la sua maestà e pietrifica l’essere umano. Il padre e la madre sono quasi dei, chiunque si avvicini loro non riesce ad avere un contatto, ma solo un conflitto, la relazione si trasforma in una lotta, amici e parenti si ritrovano – come Giacobbe dopo lo scontro con l’Angelo – sciancati, ma senza benedizione.

Perché muoiono i bambini? si domanda il romanzo dostoevskijanamente.

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Don Chisciotte, la Recherche, mia moglie e mia figlia

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di Alessandro Garigliano

L’Etna sbuffa terra nera. Il balcone si riempie di cenere lavica. Una grandine monotona di pietre cade fitta dal cielo. Rimango a guardare.

Don Chisciotte, invece, lascia che a guidarlo sia il suo cavallo, Ronzinante. Si avventura lungo la Spagna e non riesce a dare consistenza alle cose e nemmeno ai nomi; il presente è solo immaginazione. Non vuole avere nessun contatto con gli oggetti comuni, quando vede il bacile del barbiere, l’oggetto non esiste fino a quando non viene rinominato, ricreato, fino a quando non diventa l’elmo di Mambrino – l’elmo d’oro meraviglioso che costò così caro a Sacripante. Il bacile è intangibile, è la realtà: l’esistenza che si fa cenere. Sempre, con Cervantes, la realtà ha la stessa inutilità malinconica dei gesti quotidiani, immemorabili. L’invenzione, al contrario, si svolge nel racconto attraverso una struttura talmente solida da schiacciare e mortificare la logica delle cose concrete.

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ELIO E LE STORIE TESE, LA CANZONE MONONOTA E L’UTOPIA DEL TESTO

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di Alessandro Garigliano

Elio parte da un rovello, liricamente parodico: la ricerca della complessità. La voce che canta si lambicca il cervello cercando di orchestrare un’opera che sia virtuosa, che insegua melodie composite nel tentativo di ottenere una composizione rarissima. Il tono dà senso a un sentimento patetico, velleitario, che ogni artista soffre da sempre. Ma poi arriva immancabile, puntuale l’intuizione: la scoperta della semplicità. E così in poche battute si è ritmato l’excursus dello stereotipo dell’ispirazione. Allora, nel momento in cui scopre la semplicità, l’uovo di Colombo che tutti covano, ma pochi partoriscono, il narratore musicale gorgheggia compiacimento. Finalmente qualcuno sembra avere acchiappato la chimera della verità. La verità, nel luogo comune, è quella cosa che solo il candore può rivelare, il fantasma del re nudo che solo i bambini con i loro sguardi puri sono riusciti a svestire. La verità è essenziale, si raggiunge sottraendo, levando, scavando, semplificando. E’ là, c’è, esiste, aspetta, basta trovarla bruciando la tortuosità di quello che siamo. Ed Elio la stana.

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Minima Commedia Umana (3/3)

di Alessandro Garigliano

Ma se contro il corpo orchestrassi una vera imboscata? Se per non farlo mai più pisciare o cacare gli togliessi cibo e bevande e lo spedissi, come un infante punito, a letto a stomaco vuoto? Chi altri è un bambino se non questo corpo che ci è capitato, prepotente e dispettoso. Immaginarlo giacere a letto a digiuno è da un lato un piacere violento, una vendetta da Conte di Montecristo, ma dall’altro è anche un’opera pedagogica, direi, necessaria.  L’ora è scoccata, la riscossa della ragione sta per partire alla carica. Non è proprio possibile ancora accettare la sudditanza di quella parte dell’uomo che dovrebbe assumere essa l’autorità. Sono migliaia e migliaia di anni che riflettiamo noi stessi in modo complesso, almeno da quando parliamo. E non sono in grado di collocare nel tempo la data di nascita dei conflitti interiori. Ma so per certo che la parte raziocinante ne è sempre uscita sconfitta. Che da sempre nell’uomo la bestia, da cui scaturisce, ha vissuto tranquilla, cacciando, mangiando, scopando, accettando il corso naturale del cosmo. E che invece alla mente è sempre toccato il compito della mediazione, confliggendo per questo col corpo, che poi è essenzialmente parte integrante di sé.

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Minima Commedia Umana (2/3)

di Alessandro Garigliano

Vado a letto e non dormo, mi rigiro, mi avvito, conto le pecore, ma il sonno mi sfugge. Domani sarà una giornata campale, ho stremato anche oggi a dovere il mio corpo, e adesso dovrei ristorarmi, contattare l’oblio che rigenera per sei, sette ore, e domani rinascere. Eppure me ne sto tra le coperte stazzonate a vegliare. L’insonnia, che trascende la mente, domina e frantuma tutto ciò che appartiene a se stessa: il fisico contro il fisico si comporta da lupo!

Il racconto dello scontro tra me e il corpo potrebbe davvero non esaurirsi mai. Questo che fosse anche smilzo sarebbe comunque un corpaccione – nell’accezione che indica una struttura fisica ottusa -, lo subisco come un esoscheletro che ingombra, soffoca, e agisce con una sorta d’indifferenza sublime. Sembra d’istinto essere una fibra (un fibroma!) dell’universo, seguire ignaro i movimenti primordiali ed eterni della Natura. Lo scarto tra me che ragiono e pondero e il resto che mi completa è spaventoso anche nella sua dimensione temporale: io che vorrei, che mi arrabatto e corro ed esso che esiste come fosse sempre esistito, come fosse partecipe del centro della terra e della sua nascita.

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Minima Commedia Umana (1/3)

di Alessandro Garigliano

Corpo, tu mi tradisci. Tu sei meschino, brutale, immutabile. Sono anni che ti odio, che monologando (tecnicamente sarebbe un soliloquio, non essendoci stato per fortuna nessuno spettatore), corpo, io ti frustro, a te impassibile, ti denuncio come mio limite. Tu sei il mio limite, la mia croce. Senza di te chissà dove sarei, che conquiste avrei fatto, avrei liberato ambizioni, mi sarei scelto la vita. Ma tu corpo ti opponi, fai resistenza passiva. Perché tu non sei solo arti e organi e muscoli e tutto quello che rimane di fisico, di volontario e di involontario, tu sei anche altro… e intanto vorrei  dire che di volontario tu non hai un bel niente, e questo è il punto. Il punto è che non sei controllabile, che non ti si può comandare, non si può decidere cosa farti fare e cosa non fare. L’esempio più chiaro è quello dei muscoli, i muscoli volontari. Certo che posso contrarli e distenderli, lo posso fare anche decine di volte. Ma per quanto tempo è possibile? Fino a quale livello di tensione posso riuscire a contrarre un bicipite? La sostenibilità dei pesi che sollevo è pur sempre limitata, per quanto possa allenarmi, insomma, non riuscirò mai a sollevare la luna.

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Hanno ucciso Don Chisciotte

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di Alessandro Garigliano

Il cavaliere dalla Trista Figura cavalcava lasciando che Ronzinante, il destriero, scegliesse la direzione che voleva seguire. Procedevano entrambi magrissimi, scavati. Sancio Panza li scortava sul ciuco al trotto come un patriarca. La natura attorno desertificata, nel terreno arido crepe ramificate a scaglie. Finché da molto lontano non si sentì arrivare un’altra avventura. Si avvertì clangore di ferraglia e schiocchi di frusta e urla di incitazione. Ronzinante arrestò il passo e Sancio cominciò di nuovo a preoccuparsi. I giganti che avrebbero dovuto sconfiggere e i regni ancora da conquistare stavano inabissando all’orizzonte l’isola promessa dal prode hidalgo. Don Chisciotte si illuminò fiero con l’elmo di Mambrino in testa guardando fisso davanti a sé. Polvere sospesa a vortici, e silenzio. A una certa distanza si vide poi scintillare il sole su qualcosa che doveva essere ferro. L’abbaglio si diffuse su un’intera struttura di sbarre, che si avvicinò sempre di più a passo pesante. Don Chisciotte si assicurò bene sulle staffe, tenne pronta la spada e impugnando la lancia disse:

Dove andate, amici? Che carro è questo? Cosa trasportate?

Alla guida del carro altri non c’era che il baccelliere Sansone Carrasco, laureato a Salamanca, vestito per l’occasione con abiti elegantissimi:

Il carro è mio e sopra c’è una gabbia con un feroce leone, omaggio del governatore per Sua Maestà, il Re.

Ed è grande il leone? – domandò don Chisciotte.

Tanto grande – rispose il baccelliere – che di così grandi non ne sono mai venuti dall’Africa nella Spagna. Io sono il guardiano, e ne ho condotti degli altri, ma come questo mai. Proprio adesso muore di fame perché stamani non ha mangiato, e quindi la Signoria Vostra faccia il favore di farsi da parte, perché ho bisogno di arrivare presto dove devo sfamarlo.

Don Chisciotte sorrise leggermente.

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Artéfici e artifici – Una riflessione sul Don Chisciotte

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di Alessandro Garigliano

Nella mappa delle avventure di don Chisciotte a fiutare le scelte, a decidere il percorso è a ogni bivio Ronzinante, il destriero. Durante la lettura e la rilettura del romanzo di Cervantes, questa è sempre stata per me un’opzione narrativa piena di senso, paradigmatica. L’hidalgo che vuole restaurare nel presente l’Età dell’oro, sfidando giganti a forma di mulini a vento, leoni liberati, e mandrie di pecore e montoni come fossero eserciti; il cavaliere che impone la propria illusione alla realtà con eroico sprezzo del ridicolo, quando si tratta di prendere una direzione e imbarcarsi in una nuova avventura, lascia che a decidere sia il suo cavallo: sfida la sorte con il caso. La prima interpretazione che mi è venuta in mente è stata di ammirazione, come se don Chisciotte fosse un condottiero refrattario alla paura, indifferente a qualsivoglia difficoltà che la strada, la vita, la realtà avrebbero potuto scagliargli addosso a seconda del varco selezionato. Indossando un’armatura desueta, rattoppata alla bisogna col cartone, impugnando armi spuntate e cavalcando un ronzino che, pur assurto a Ronzinante, rimane emaciato e privo di prestanza: l’eroe comunque va. L’eroe, ovunque vada, ha una volontà che fa a pezzi il destino.

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Le tolga le mani di dosso, presidente!

di alessandro garigliano

Finalmente ho sorriso. Non più indignazione, sentimento che ormai di frequente dissolvo nella disperazione. Ho di nuovo sorriso rivedendo una scena di Ritorno al futuro. Si vede apparire  McFly, George McFly, in un impeccabile smoking bianco, abbagliante, anni ’50. Siamo all’uscita della scuola per il ballo di fine anno e George ha un portamento nuovo.  L’avevamo sempre visto tremolante ripararsi contro i nemici, ma pavido anche nell’affrontare l’amore. Invece, adesso, sebbene si muova pur sempre dinoccolato, sembra cercare qualcosa. Non ha più lo sguardo smarrito sotto l’acconciatura brillantinata e geometrica, ora, pur non sapendo che direzione percorrere, nonostante si giri intorno privo di certezze, dà nettamente l’impressione di chi sa cosa vuole, di trovarsi al cospetto di un’emergenza inderogabile. Cammina e sembra un uomo.

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Nessun dolore

di Simona Carfì

Bisogna farsi una regola costante di criticar tutto e tutti,

prima di credere bisogna domandarsi sempre come primo dovere:

perché io devo credere questo?

Augusto Murri

Mi è stato chiesto di scrivere un pezzo sui vaccini. Ci ho pensato su parecchio. Non  riuscivo mai a mettere nero su bianco le mie idee, seppure queste mi fossero chiare. Penso di aver capito il perché. Nessun argomento come quello dei vaccini mette in evidenza la necessità che il genitore che si occupa del figlio sia un adulto “consapevole”.

Sui vaccini è stato scritto tanto, certo non abbastanza.

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Balulalow

di Alessandra Lisini

Lucy: Ecco, l’hanno fatto di nuovo!
Charlie Brown: Cosa?
Lucy: Alla radio mandano i pezzi in onda e non dicono mai il titolo!
Charlie Brown: Era l’inno nazionale.
(Charles Schulz)

Ascolto una trasmissione parlata, con rari intermezzi musicali; sono nel pieno del mio periodo folk boreale e qualunque cosa impieghi arpe, percussioni scandinave, scale celtiche riscuote il mio interesse. Così appena sento le prime note del brano ululo tra me e me perché sono in macchina coi finestrini aperti, arraffo il primo pezzo di carta a disposizione e tento di scriverne almeno dei brandelli.

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