Questo articolo è stato pubblicato su minima&moralia
di Alessandro Garigliano
Il cavaliere dalla Trista Figura cavalcava lasciando che Ronzinante, il destriero, scegliesse la direzione che voleva seguire. Procedevano entrambi magrissimi, scavati. Sancio Panza li scortava sul ciuco al trotto come un patriarca. La natura attorno desertificata, nel terreno arido crepe ramificate a scaglie. Finché da molto lontano non si sentì arrivare un’altra avventura. Si avvertì clangore di ferraglia e schiocchi di frusta e urla di incitazione. Ronzinante arrestò il passo e Sancio cominciò di nuovo a preoccuparsi. I giganti che avrebbero dovuto sconfiggere e i regni ancora da conquistare stavano inabissando all’orizzonte l’isola promessa dal prode hidalgo. Don Chisciotte si illuminò fiero con l’elmo di Mambrino in testa guardando fisso davanti a sé. Polvere sospesa a vortici, e silenzio. A una certa distanza si vide poi scintillare il sole su qualcosa che doveva essere ferro. L’abbaglio si diffuse su un’intera struttura di sbarre, che si avvicinò sempre di più a passo pesante. Don Chisciotte si assicurò bene sulle staffe, tenne pronta la spada e impugnando la lancia disse:
– Dove andate, amici? Che carro è questo? Cosa trasportate?
Alla guida del carro altri non c’era che il baccelliere Sansone Carrasco, laureato a Salamanca, vestito per l’occasione con abiti elegantissimi:
– Il carro è mio e sopra c’è una gabbia con un feroce leone, omaggio del governatore per Sua Maestà, il Re.
– Ed è grande il leone? – domandò don Chisciotte.
– Tanto grande – rispose il baccelliere – che di così grandi non ne sono mai venuti dall’Africa nella Spagna. Io sono il guardiano, e ne ho condotti degli altri, ma come questo mai. Proprio adesso muore di fame perché stamani non ha mangiato, e quindi la Signoria Vostra faccia il favore di farsi da parte, perché ho bisogno di arrivare presto dove devo sfamarlo.
Don Chisciotte sorrise leggermente.
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